ISTAT - Sessant'anni di Europa

ISTAT - Sessant'anni di Europa

Notizie

03/11/2017



A 60 anni dalla storica firma dei Trattati di Roma, in occasione delle celebrazioni della Giornata italiana ed europea della statistica del 20 ottobre u.s., l'Istat ha reso disponibile sul proprio sito la pubblicazione digitale “Sessant'anni di Europa” ([ http://www.istat.it/60annidieuropa ]http://www.istat.it/60annidieuropa). Partendo dalle rilevazioni numeriche, l'Istat guarda oltre le differenze tra i singoli paesi membri dell'UE e si concentra sui mutamenti complessivi, sulle convergenze economiche e sociali e sugli effetti delle politiche.
Di seguito riportiamo le 4 sezioni in cui è divisa la pubblicazione, con un'estrapolazione di argomenti e dati di maggior interesse:

I-LA STORIA ED I NUMERI, sezione interamente dedicata alla storia della creazione dell'odierna Unione europea, intrecciata con i principali fenomeni economici e sociali.

II- SUPERFICIE, POPOLAZIONE, DENSITÀ, dove vi è una rappresentazione delle dimensioni dell'Europa in termini di superficie, popolazione, densità.
Nello specifico, l'Italia:
- si estende su una superficie di 301.339 km2;
- ha una popolazione di 60.665.551 abitanti;
- ha una densità di 201 ab/km2.

III-IL PERCORSO, dove viene mostrata la cronologia dell'integrazione europea.

IV- I TEMI E GLI INDICATORI, dove i dati dell'Italia sono messi a confronto con quelli dell'aggregato E6 (i sei paesi fondatori: Belgio, Francia, Germania, l'Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi) e dell'aggregato Ue28 (l'odierna Unione europea) su quattro diversi temi (popolazione, società, lavoro, economia):

POPOLAZIONE
- All'indomani della Seconda guerra mondiale, la crescita demografica procede in tutta Europa a ritmi sostenuti, con gli incrementi più consistenti tra i primi anni ‘60 e i primi anni ‘70. Benché intorno al 1975 la crescita cominci a rallentare ovunque, è dal 1980 che la traiettoria dell'Italia si distacca nettamente da quella degli aggregati europei, poiché si apre una fase, che durerà fino al 2001, in cui la popolazione rimane pressoché stabile. Soltanto dall'inizio del nuovo millennio, la crescita della popolazione italiana riprende a ritmi sostenuti, soprattutto per l'apporto della popolazione straniera, e la forbice con gli aggregati europei torna a ridursi. Questo processo si arresta con la Grande recessione iniziata nel 2008 quando la popolazione italiana dapprima ristagna finché nel 2015, per la prima volta dall'unificazione, diminuisce.
- Storicamente, il dopoguerra si caratterizza, sia in Italia sia in Europa, per un andamento delle nascite decrescente. In Italia, gli anni del boom economico rappresentano un'eccezione, e nel 1964 le nascite toccano un picco. L'andamento è condiviso dall'insieme dai Paesi europei, con l'eccezione dei sei fondatori che si trovavano in uno stadio più avanzato della “transizione demografica”. Dopo quell'anno, le nascite diminuiscono progressivamente in tutta Europa. L'andamento italiano è dapprima in linea con quello continentale, ma dal 1974 accelera allontanandosi, in negativo, da quello europeo. A partire dalla metà degli anni '80, il numero annuale delle nascite si stabilizza in Italia e negli aggregati europei. Anche in questo caso, l'insorgere della crisi si traduce in un calo progressivo delle nascite, ben più marcato in Italia che nel resto d'Europa.
- Sebbene il miglioramento della vita media sia una tendenza di lungo periodo comune a tutti i paesi sviluppati, fino all'inizio degli anni ‘70 il valore italiano si è mantenuto al di sotto di quelli rilevati nell'E6 e nell'Ue. Da quel momento, la speranza di vita in Italia è rimasta costantemente più elevata di quella riferita agli aggregati europei. Siamo attualmente uno dei paesi a maggiore longevità, all'interno di un continente comunque caratterizzato da valori molto elevati.
- Per effetto dell'aumento della speranza di vita e del rallentamento delle nascite, la popolazione europea invecchia. L'Italia, che negli anni ‘50 era tra i paesi europei più giovani, rispetto agli altri è invecchiato di più e più rapidamente. Se nel 1957 la metà della popolazione italiana aveva meno di 31 anni, ora ne ha più di 45. In 60 anni, dunque, il baricentro della popolazione italiana si è spostato di oltre 15 anni. Un fenomeno simile ha interessato, anche se in misura minore, gli aggregati europei, dove lo spostamento è stato di 11 anni: da 33 a 44 anni in E6 e da 32 a 43 nel complesso dell'Ue.
- Già dall'inizio degli anni '60, lo scenario che si va delineando in Europa è quello di una popolazione che invecchia. L'indice di dipendenza giovanile, cioè la percentuale di giovani fino a 14 anni, in Italia dopo essere rimasta stabile con valori prossimi al 37-38% fin verso la fine degli anni ‘70, è poi scesa molto rapidamente fino al 1992, stabilizzandosi da quel momento su valori intorno al 21-22%. La popolazione anziana, quella composta dagli over65, ha seguito prevedibilmente un andamento opposto, anche se i cambiamenti sono stati relativamente meno rapidi e più diffusi all'intero periodo: si attestava intorno al 14% della popolazione italiana nel 1960 e aveva raggiunto il 34,2% nel 2016. Il fenomeno è comune a tutt'Europa, ma è meno accentuato nell'E6 (dal 16,6 del 1960 al 31,5 del 2016) e ancora meno nell'Ue (rispettivamente 15,2 e 29,5%). Di conseguenza, l'incidenza degli anziani – che all'inizio del periodo era più bassa in Italia che in Europa – nel nostro Paese è ora di quasi 5 punti al di sopra della media europea e di quasi 3 al di sopra di quella dei sei fondatori.
- L'Italia è stata storicamente un Paese di emigrazione e gli espatri eccedono gli arrivi fino all'inizio degli anni ‘70. Segue un lungo periodo di stasi, in cui ingressi e uscite si compensano e si attestano su valori piuttosto bassi. Dal 1991, l'Italia diventa un Paese d'immigrazione ma il fenomeno, in crescita fino al 2007, rallenta poi sensibilmente per effetto della Grande recessione. Gli andamenti europei sono difficili da sintetizzare, dipendenti come sono dalle condizioni economiche e dalle politiche migratorie dei singoli paesi, ma nel complesso l'Europa è stata e continua a rappresentare un polo d'attrazione di consistenti flussi in entrata.

SOCIETÀ
- Il calo della mortalità infantile è generalizzato. Nel 1957, alla firma dei Trattati di Roma, il tasso è del 39,6 per mille nel complesso dei sei paesi fondatori e del 49,6 per mille in Italia. Vent'anni dopo, nel 1977, il tasso di mortalità infantile in Italia è inferiore alla media Ue e sotto la soglia del 20 per mille; nel 1987 è sotto il 10 per mille e dal 2010 è sotto il 3 per mille, uno dei migliori risultati tra i 28 stati membri.
- L'Italia presenta tassi di istruzione universitaria molto più bassi della media europea. Dalla metà degli anni '90 la percentuale di persone di 30-34 anni in possesso di un diploma di laurea è in costante aumento, triplicando tra il 1992 e il 2016. Un aumento analogo si registra anche nel resto d'Europa e negli anni la distanza tra l'Italia e la media comunitaria si è mantenuta attorno ai 10 punti percentuali. Nel nostro Paese la quota di donne sul totale dei laureati è generalmente superiore rispetto alla media europea.
- La povertà in Italia si attesta su livelli costantemente superiori rispetto ai partner europei. La crisi del 2008 ha avuto un effetto molto più intenso: dopo il 2010, il tasso di deprivazione materiale è aumentato di circa 5 punti percentuali e il rischio di povertà o esclusione sociale di circa 3 punti, a fronte di un aumento di un solo punto per entrambi gli indicatori negli aggregati europei.
- Nel nostro Paese la spesa per la protezione sociale (sanità, previdenza e assistenza) in euro pro capite è allineata con quella dell'Unione europea nel complesso, mentre è di circa 1.700 euro inferiore rispetto alla media dei sei paesi fondatori. Si tratta però del risultato di un processo di progressiva convergenza dell'Italia nei confronti dei partner europei se consideriamo che nel 1995, quando l'Italia usciva dalla crisi del 1992, il divario – a prezzi costanti – era di oltre 3.500 euro pro capite.

LAVORO
- Nel 2016, il tasso di occupazione in Italia è pari al 57,2% della popolazione in età attiva, un livello inferiore a quello osservato nel complesso dell'Ue e ancor più basso se si considerano i soli paesi fondatori. Il ritardo dell'Italia sul fronte della partecipazione al lavoro non è una novità: sin dai tempi della firma dei Trattati di Roma i tassi di occupazione italiani sono stati sempre più bassi rispetto a quelli dell'aggregato E6; soltanto negli anni ‘80 si assiste a una riduzione del divario, che diventa inferiore a 4 punti percentuali raggiungendo il suo minimo nel 1984. I livelli massimi di divergenza si osservano invece durante la recente crisi: in questi anni il divario tra l'Italia e l'Europa dei sei, ma anche dei 28, è il più elevato mai riscontrato. L'obiettivo di Europa 2020 di un tasso di occupazione al 75% appare molto lontano.
- Nella lunga strada verso la parità di genere, negli ultimi 60 anni le differenze fra l'Italia e i sei paesi fondatori si sono accentuate. Nei decenni immediatamente successivi la creazione della Comunità europea, infatti, l'aggregato E6 mostra una continua diminuzione (anche se più lenta all'inizio) delle differenze di genere nei tassi di occupazione. Al contrario, nel nostro Paese, un cambio di passo interviene soltanto a partire dagli anni ‘70: i punti percentuali che separano i tassi di occupazione maschili e femminili sono 50 nel 1970, e si riducono a 18 nel 2016. Ma ancora molta strada ci separa dal complesso dei paesi dell'Ue e dall'aggregato dei sei fondatori
- Nel 1963, il tasso di disoccupazione in Italia è al 4%: un minimo storico, ma un tasso comunque superiore a quello del gruppo dei sei fondatori. Dal 2004 al 2007, il nostro Paese si attesta su livelli di disoccupazione inferiori al complesso dei fondatori, ma il risultato è di breve durata. Con la crisi riemergono le difficoltà del mercato del lavoro italiano: dal 2007 il tasso di disoccupazione risale, superando già nel 2008 l'aggregato dei paesi fondatori e, nel 2012, anche il complesso dell'Ue. Il 2014 è l'anno in cui in Italia si registra il più elevato livello del tasso di disoccupazione degli ultimi 60 anni. Nel periodo più recente la situazione migliora.
- La partecipazione al mercato del lavoro, misurata con il tasso di attività, mostra per quasi 20 anni dalla firma dei Trattati di Roma un andamento negativo, più accentuato in Italia rispetto al complesso dei sei fondatori. Soltanto nel 2000 il tasso di attività dell'Italia torna al livello del 1960. Questi sviluppi si traducono in una crescente divaricazione rispetto ai paesi E6, ampliatasi negli anni della crisi. Nel 2016, infatti, il divario con i sei fondatori è di oltre 10 punti percentuali (erano poco più di 3 nel 1960). Meno marcata invece, anche se consistente e pari a 8 punti percentuali, la distanza con l'insieme dell'Ue.
- Nel corso di questi primi 60 anni d'Europa, i profondi cambiamenti demografici e sociali hanno messo i lavoratori “anziani” sempre più al centro delle politiche. La maggiore longevità determina pressioni crescenti sui sistemi di welfare, previdenza e assistenza, rendendo necessaria una prolungata permanenza sul mercato del lavoro. In Italia il tasso di occupazione dei 55-64enni è più basso sia di quello medio europeo sia di quello calcolato sull'aggregato dei paesi fondatori. In particolare, il divario rispetto all'insieme dei sei fondatori, che era di 2 punti percentuali nel 1983, si è ampliato nel corso del tempo: la crescita dei livelli occupazionali di questa fascia di età – che pure c'è stata a partire dai primi anni Duemila – è stata meno intensa rispetto ai partner europei. Nei primi anni '80, il divario fra il tasso di occupazione maschile e femminile nella fascia di età 55-64 anni era davvero ampio, in particolare in Italia. Tale differenza, che pure si è attenuata a partire dagli anni ‘90, mantiene lontana la situazione italiana da quella dei sei fondatori, che hanno visto ridursi le disparità di genere più intensamente di quanto non sia accaduto nel nostro Paese.

ECONOMIA
- La crescita economica nei decenni successivi la creazione della Comunità europea è stata impetuosa in tutti i paesi fondatori: nel 2007 il potere d'acquisto pro capite era pari a 4,5 volte il livello del 1960 per l'Italia, e circa 4 volte per l'insieme dei sei paesi fondatori. Nel 2008 la crisi più prolungata da oltre un secolo ha interrotto questo lungo ciclo espansivo, fino al moderato recupero dell'ultimo biennio.
- I prezzi al consumo per decenni in Italia sono aumentati in misura maggiore rispetto all'aggregato dei paesi fondatori. Fino all'adozione dell'euro nel 1999, la dinamica più sostenuta dei prezzi interni è stata compensata da periodiche svalutazioni della lira: queste consentivano di recuperare competitività di prezzo rispetto agli altri paesi europei, contribuendo però a innalzare il premio in termini di tassi di interesse che i debitori – compreso lo Stato – pagano per l'incertezza sul valore futuro delle obbligazioni. Negli ultimi anni si è affermata una maggior disciplina, caratterizzata però dalla compressione dei salari e dei margini di vendita.
- Il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo in Italia ha iniziato a crescere già negli anni ‘70, accelerando nel decennio successivo, in cui si è determinato un progressivo divario rispetto agli altri paesi fondatori. L'aggiustamento messo in atto nel corso degli anni ‘90 ha portato a una riduzione del rapporto tra debito e Pil. La crisi ha però indotto un nuovo peggioramento.